Quando la puntualità non è un concetto astratto

Quando la puntualità non è un concetto astratto
 
Quando la puntualità non è un concetto astratto
 
 
Normalmente ognuno di noi, quando fissa un incontro, stabilisce un’ora precisa, è così anche se altri decidono il momento, per esempio un appuntamento dal dentista o dall’oculista o dal parrucchiere. Non rispettando l’orario, tutto può “saltare”. E figuriamoci se si tratta di incontrare un cliente per un affare, o di presentarsi a un colloquio di lavoro, un esame. 
 
Benché la filosofia del “time is money” abbia contagiato il mondo del business ad ogni latitudine, nelle relazioni interpersonali sembra la puntualità sia un “optional”, almeno da noi. Cinque, dieci minuti sono tollerati, anzi, talvolta si fa leva su questo lasso temporale. Eppure, rispettare un orario, secondo il nostro Galateo, è un modo di esprimere rispetto per le persone, per l’evento e per le regole del buon vivere sociale. 
 
Certo, il concetto del tempo non è una categoria fissa, assoluta, in ogni cultura dalle più antiche alle contemporanee gli viene dato un significato e una rappresentazione differente.
Succede ad esempio che in certe popolazioni il tempo inteso come “orario” sia vissuto come assolutamente relativo e ciò sembrerebbe connesso ad una visione della vita, indubbiamente meno frenetica della nostra occidentale. Cosicché, soprattutto nei paesi e regioni a clima caldo, tropicale, non viene quasi dato alcun valore al “ritardo”. 
 
In un libro che ho recentemento letto, mi ha colpito la maniacale pignoleria della popolazione elvetica, non per niente Svizzera è considerata la patria degli orologi. Pignoleria che non riguarda solo l’ordine e la pulizia, ma regola tutte le azioni dei cittadini e a cui i numerosi stranieri presenti sul suo suolo devono adeguarsi, pena sonore, educative, multe. 
Va bene che i treni sono notoriamente in perfetto orario e che in Stazione può capitare, rarissimamente, di sentire l’annuncio “Ci scusiamo con i gentilissimi passeggeri, il treno in arrivo subirà un ritardo di 2 minuti” (avete letto bene, 2 minuti!), però come si può convivere con la consuetudine di stabilire l’orario di inizio e di fine di una festa, di un ricevimento? Consuetudine svizzera e, leggendo il libro, ho scoperto pure olandese, e chissà se di altri popoli nordici, devo indagare.
Potremmo mai abituarci noi, popoli latini, di scrivere su un invito che la festa di compleanno, la cena di pensionamento, il ricevimento di matrimonio inizia alle ore X e termina alle ore Y? 
Perderemmo di colpo tutte le amicizie. 
 
Per contro, nella nostra calda ospitale Italia Meridionale, quando dicono “ci vediamo verso le…” è da quell’ora in avanti che ti aspettano, e si stupiscono se arrivi proprio a quell’ora in punto, anche loro si preparano “da quell’ora in poi”!
 
Io non sono rigorosa come gli svizzeri e nemmeno placida come da Roma in giù, ma se i miei ospiti invitati a pranzo si presentassero alla spicciolata, il risotto approntato a puntino per essere servito all’ora che ho detto li andrebbe a cercare fino in strada ... (*).
 
Maura Sacher
(*) Per chi non capisse il senso, era un detto di mio padre da interpretare così: “il riso è così scotto che i chicchi sono così lungi che per poco arrivano giù per le scale”.
 
 
 
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